di / por Stefano Armellini
Nel pieno rispetto della legge di Murphy, tutto quello che poteva andare storto al River, nel Superclasico, è andato storto.
Probabilmente è un record che entrambi gli esterni di fascia sinistra escano nel primo quarto d’ora per rottura del legamento crociato (rimediata, tra l’altro, in azioni apparentemente banali, appoggiando male la gamba dopo un contrasto aereo). E nemmeno è frequente che entrambi i due sostituti, nella fattispecie Gonzalez Pirez e Rojas, siano improvvisati nel ruolo, il chè naturalmemte ha significato cedere la fascia sinistra al Boca. Per non farsi mancare niente, Gonzalez Pirez ha anche regalato un rigore per un fallo assolutamente inutile, dando respiro ad un Boca agonizzante. E per finire, l’assurdità di un gol in contropiede subìto in zona Cesarini perchè Almeyda aveva tolto l’unico giocatore in grado di tenere sù la squadra da solo, Leo Mora, e tutto per dare la soddisfazione ad uno statuario David Trezeguet di terminare la partita.
Questa finisce per essere la cronaca triste di un Superclasico che fino al minuto 75 era invece festoso, dominato e tenuto saldamente in mano da un River che, pur senza miracol mostrare, stava vincendo per due a zero ed era in tranquillo controllo del match contro un Boca semplicemente inesistente.
E pensare che inizialmente le cose si erano messe bene. Subito al 1° minuto, una punizione di Leo Ponzio dalla sinistra rimbalzava in area e velenosamente entrava in porta. Era il primo gol “gallina” ma a fare la figura da pollo è stato il portiere xeneize Orion.
Dopo il gol il River controllava la gara grazie soprattutto a tre giocatori, che si elevavano sugli altri: a centrocampo Leo Ponzio era l’anima della squadra con una regia lucida ed elegante; sulla fascia destra Carlos Sanchez rappresentava un pericolo costante con le sue percussioni che compensavano il forzato silenzio dell’altra sponda; in attacco il funambolico Rodrigo Mora distillava alcune giocate di tecnica sopraffina esaltando il Monumental che più volte lo omaggiava con l’ormai classico coro: “u-ru-gu-a-yo”, divenuto quasi un mantra per la frequenza con cui viene ripetuto.
Dopo che Orion per due volte aveva negato il raddoppio alla Pulga uruguagia, al 70° la superiorità della Banda si concretizzava con l’azione più bella della partita: Trezeguet serviva in orizzontale Sanchez il quale, in mezzo a due difensori xeneizes, trovava un taglio ardito e geniale su cui dalla sinistra si avventava come un falco Mora che, dopo avere dribblato il portiere in uscita con una classica “gambeta”, depositava in gol.
Sembrava finita.
Il Boca, che fino a quel momento aveva giocato in coerenza con quella che è la sua storia, cioè con garra ma con pochissimo football, era annichilito. I tifosi invocavano Riquelme per contestare Falcioni.
C’erano solo due incognite che potevano togliere al River un meritato successo: Gonzalez Perez e Almeyda.
Al 76° l’improvvisato terzino sinistro commetteva in area il più inutile dei falli spianando la strada al gol su rigore di Silva.
Mancavano 15 alla fine, ma ancora il Boca non reagiva.
Per innescare il pareggio ci voleva Almeyda, presentatosi in campo con una orrenda camicia a scacchi a maniche arrotolate come se fosse a una festa paesana invece che al Superclasico.
Ma non è solo una questione di stile.
E’ che con una decisione difficilmente comprensibile decideva di togliere il migliore in campo, Leo Mora, che da solo metteva pressione alla difesa xeneize, per lasciare in campo un Trezeguet che non solo non era in grado di rendersi pericoloso, ma nemmeno di tenere sù la squadra. E così al 46° da un suo goffo tiro ribattuto addirittura da un difensore, nasceva un contropiede che rivelava in chiaro tutti i limiti difensivi di questo River. Paredes superava la metacampo incontrastato, aveva tutto il tempo di pensare cosa fare, finchè decideva di servire Costa sulla destra. Costa era a sua volta indisturbato e la metteva al centro dove Silva saltava più alto di Pezzella e la spizzicava per un sin lì inguardabile Erviti che al centro dell’area anticipava Bottinelli sorprendendo sul palo basso un Barovero a mezza via.
Il pareggio veniva festeggiato solo dalla squadra più debole, il Boca, e dai suoi 5000 tifosi che, dopo aver presentato il loro biglietto da visita danneggiando le macchine in sosta lungo l’avenida Figueroa Alcorta, per tutta la partita erano stati annichiliti dalla grande festa che il Monumental aveva predisposto con splendida coreografia biancorossa a base di palloncini e papelitos, e dall’allegria che questa aveva generato.
Almeno sulle tribune, ha vinto il River.
Ma questa tifoseria meriterebbe qualche cosa di più.
L’esito del Superclasico non cambia la situazione dei due allenatori. Due dead men walking invisi alle rispettive tifoserie, che devono fare i conti con i fantasmi del passato, che per Almeyda si concentrano nell’eterno idolo Ramon, mentre per Falcioni assumono di volta in volta la fisionomia di Carlos Bianchi, Riquelme e Martin Palermo.
s/a