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Un Angelo a Nuñez

Voci su un possibile ritorno di JPA

Juan Pablo Angel (detto JPA) nasce in Colombia il 21-X-1975, quindi tre anni prima che Giovanni Paolo diventasse un nome à la page grazie a Papa Lucani e Karol Woytila, e non solo un bizzarro accostamento di due nomi importanti. Ma la mamma di Juan Pablo non poteva immaginarlo, o forse poteva, visto che il cognome, Angel, fa trasparire una certa confidenza con i piani alti. . .

Dopo aver esordito nel Nacional Medellin, JPA, centravanti talentuoso ma non troppo continuo, viene scoperto dal Pelado Ramon Diaz, che lo porta al River nel 1997 nell’indifferenza dell’aficcion millonaria che non vede in questo colombiano semisconosciuto, timido ed educato, l’erede di Hernan Crespo e degli altri precedenti titolari della magica e pesante camiseta numero nove della Banda roja.

Ma fin dal suo periodo al River JPA si affida a una delle sue doti più preziose anche se nascoste, la tenacia, e pian piano si guadagna un posto al sole al centro dell’attacco di una squadra ricca di talento, in linea con la tradizione riverplatense, che in quel periodo vedeva in Saviola e Aimar due dei punti di riferimento del tridente offensivo completato dal burrito Ortega in appoggio.

Diciassette gol in altrettante partite con quel fantastico River rappresentano un biglietto da visita perfetto per passare alle migliori squadre europee, tant’è che lo cercano Inter, Parma, Napoli e Bayern Monaco. La scommessa di JPA, però, è di andare a Birmingham, città seria e operosa lontana anni luce dall’atmosfera vibrante della glamorous ‘swinging London’ e più vicina al suo carattere, per cercare di risvegliare l’Aston Villa, gigante dormiente che dopo la conquista della Coppa Campioni del 1982 sembrava avviato ad un rapido declino e che proprio allo scopo di evitarlo mette sul piatto 9,5 milioni di sterline per quello che all’epoca era l’acquisto più costoso della sua storia.

Arrivato nel gennaio 2001, i primi sei mesi a Birmingham sono durissimi. JPA non riesce ad ambientarsi ai ritmi forsennati della Premier League, così lontani da quelli del calcio sudamericano, e anche sul piano personale la sua famiglia fatica ad ambientarsi a Birmingham dovendo fare i conti con una grave malattia del figlio. Risultato: JPA timbra il primo gol in maglia claret and blue solo sei mesi dopo il suo arrivo, contro il Coventry.

Sembra che dall’Argentina sia arrivato un bidone, ma ancora una volta, così come era accaduto al suo arrivo a Nuñez, JPA stringe i denti e mette in mostra un talento purissimo che lo porta a realizzare 16 gol in 30 partite nella sua prima stagione intera sotto la guida di John Gregory.

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Ma quando Gregory lascia per Graham Taylor, si scopre che le long balls tactics dell’ex allenatore della nazionale dei tre leoni non si addicono ad un attaccante degno interprete dell’estilo de juego ofensivo della Banda roja e JPA viene incredibilmente escluso dalla formazione titolare. Ma ancora una volta il suo carattere lo aiuta a non mollare. Nonostante non veda mai il campo, non gli sfugge una sola parola contro il Club e il manager. Il pubblico lo adora. Ogni volta che anche solo si alza per scaldarsi, la Holte End, dove batte il cuore di Villa Park, gli tributa un applauso calorosissimo di incitamento e alla fine della stagione 2002-03 lo nomina giocatore dell’anno nonostante un solo gol realizzato e pochissime presenze all’attivo.

Poi Taylor dà le dimissioni e con il nuovo manager David O’Leary JPA ritrova la possibilità di esprimere il suo talento, tanto che nel 2003-04 marca 16 gol in Premier League e 23 totali in stagione, cosa che un giocatore dell’Aston Villa non riusciva a fare da più di vent’anni.

Nei successivi tre anni, però, le difficoltà della squadra di David O’Leary, manager inviso ai tifosi che contrariamente alle loro abitudini ne reclamano a gran voce le dimissioni, si riflettono anche su JPA, che non riesce più a timbrare in doppia cifra, sicchè alla fine della stagione 2006-07 viene ceduto ai New York Red Bulls dove, nonostante le difficoltà incontrate dalla squadra, in meno di tre anni diventa con 46 gol il marcatore più prolifico di tutti i tempi.

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Dopo tre anni di NASL si era vociferato un ritorno di JPA a Nuñez, riaccendendo il classico conflitto tra cuore e ragione.

Se il cuore dice sì, la ragione sa che il meglio di JPA è già, purtroppo, alle spalle, e, per usare le belle parole di Enrico Ruggeri forse non si farà perché “il vero amore, vuol restare grande, preferisce chiudersi e morire, in un colpo, piuttosto che appassire”. . .

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