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La classe non è acqua

Gli ex del River Plate in Italia

Il River Plate sta attraversando un periodo difficile in Argentina, dove i risultati sono largamente al di sotto della sua tradizione e delle sua potenzialità (solo un Clausura negli ultimi cinque anni), ma i giocatori che hanno vestito la Banda roja si stanno facendo onore in Italia, dove hanno esportato quello stile di gioco offensivo e brillante e quell’eleganza che da sempre costituiscono il fiore all’occhiello, il marchio di fabbrica con cui il River è conosciuto nel mondo.

Giova ricordare che il Boca, seppure riesce ultimamente a vincere più del River, non ha abbandonato la caratteristica impostazione speculativa incapace di produrre o consolidare interpreti in grado di imporsi in un ambiente diverso, e in particolare all’estero.

I grandi giocatori legati al Boca che hanno lasciato il segno in Italia si contano sulla punta delle dita: praticamente solo Maradona e Veron, peraltro usciti da altri settori giovanili, considerando che Batistuta, Abel Balbo e Caniggia sono anche ex del River. Tantissimi i fallimenti, tra i quali il più recente quello del genoano Rodrigo Palacio. Si tratta evidentemente di giocatori che, allontanati da un ambiente caliente ma spesso protettivo e protetto com’è quello di Casa Amarilla, non hanno saputo confermarsi né assumersi responsabilità corrispondenti al loro prestigio (e ingaggio).

I giocatori usciti dal River o fortemente identificati in esso, invece, hanno avuto un impatto con il calcio italiano straordinario.

Se le imprese di Omar Sivori sono datate ma indimenticabili, non si può dimenticare che all’inizio degli anni’80 un certo Ramon Diaz (leggenda del River sia come giocatore che come allenatore) ha condotto alla salvezza un Napoli dai valori tecnici molto modesti, guidato però in panchina da uno straordinario uomo di calcio come il petisso Pesaola (che nei primi anni’40 iniziò la carriera nel River più forte della storia, quello della famosa Maquina del gol), mentre Passarella era il leader di una Fiorentina che nel 1981-82 ha perso il campionato nella volata a due con la Juve solo all’ultima giornata (rigore di Brady a Catanzaro e contemporaneo gol annullato a Graziani a Cagliari); così come non si può dimenticare che all’inizio degli anni 90 il principe Enzo Francescoli ha salvato praticamente da solo un Cagliari che pareva destinato alla retrocessione, riuscendo anche (a differenza di Maradona) nell’impresa di manifestare anche fuori dal campo la classe (vorremmo dire lo stile River) di cui era dotato sul terreno di gioco.

Per venire a tempi più recenti, la grande Lazio di Eriksson aveva un’ossatura argentina composta di leggende di Nuñez: Almeyda a centrocampo, Crespo e il matador Salas in attacco.

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L’Inter è un’altra enclave argentina dove gli ex della Banda hanno giocato un ruolo importante: pensiamo non ci sia nessuno che non apprezzi la sontuosa regia di Cambiasso, ma quante squadre non vorrebbero avere un attaccante come el jardinero Julio Cruz (ora alla Lazio), che anche dopo avere superato i trent’anni si fa sempre trovare pronto ogni volta che viene chiamato in causa? Come Francescoli, anche Almeyda, Crespo, Cruz e Cambiasso, tra l’altro, sono giocatori che in tanti anni non si ricorda abbiano mai detto una parola fuori posto, dimostrando quella sobrietà e quell’educazione, in una parola quello stile, che ci piace pensare abbiano appreso a Nuñez.

Per venire ai nostri giorni, il fallimento, per certi versi inspiegabile, di Juan Pablo Carrizo, è stato compensato dallo strepitoso rendimento di Mario Yepes che, ad onta di giocare in un piccolo club come il Chievo (che peraltro ha condotto lo scorso anno all’ennesima storica salvezza), si è messo in evidenza come uno dei migliori centrali della serie A, per classe ed esperienza.

Insomma, il River da esportazione è sempre funzionato benissimo, l’auspicio è che ora l’aura di quella grande tradizione favorisca la crescita di nuovi campioni in grado di portare a Nuñez altri trofei.

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