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(por/di Andrea Ciprandi) Visto l’esito frustrante anche del Superclasico, un pareggio regalato in extremis dopo il doppio vantaggio a un quarto d’ora dalla fine, non resta che decidere una volta per tutte da che parte stare. Ma bisogna farlo, chiarendo cosa ci si aspetta dal River di oggi, come si vuole che sia quello del futuro e quale strada va intrapresa per costruirlo. Non è infatti più il tempo della mediazione.

La partita di domenica, è vero, nel complesso è stata dominata. Ma alla fine più di tutto conta che ce la si è lasciata sfuggire dalle mani. E davanti non c’era il forte Boca dei primi anni Duemila bensì quello ridotto male di questi tempi, una squadra che per certi aspetti ricorda lo stesso River considerato il nome che porta e lo stato in cui versa ormai da parecchio.

La prima considerazione da fare è che in altri frangenti (ai bei, vecchi tempi) l’incontro sarebbe stato innanzitutto condotto diversamente, con una gestione del gioco che andasse ben oltre contropiedi pur ben confezionati coi benefici che ne sarebbero venuti. Il famoso addormentamento del gioco a cui ha fatto riferimento Almeyda in conferenza stampa, rammaricandosi per non essere riuscito a farlo mettere in pratica dai suoi, avrebbe potuto essere anche preceduto da un reale dominio dal gioco col risultato che molto probabilmente al 75′ il vantaggio sarebbe risultato addirittura più ampio. Come si dice, la miglior difesa è l’attacco. E così dev’essere soprattutto quando la difesa lo è di nome ma non di fatto, ossia quando per scelta del tecnico è composta praticamente nella sua interezza da stopper (contro il Boca ha fatto eccezione il solo Mercado) ed è costretta a restare tale anche quando si provvede alla sostituzione di un suo elemento (Gonzalez Pirez per l’infortunato Ramiro Funes Mori, entrambi centrali costretti a giocare esterni di sinistra per l’appunto).

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Un’altra doverosa considerazione è che ancora una volta la difesa, sempre questa, ha ballato. Diversamente dal solito non l’ha fatto per la maggior parte della partita, è vero, ma sono bastati un fallo da rigore sconsiderato proprio del subentrato Gonzalez Pirez e un’uscita incerta di Barovero per ridare vita a un avversario altrimenti inconcludente che di certo fino al 91′ avrà irritato i suoi sostenitori tanto quanto, per altri versi, il River nello stesso minuto ha finito col deludere i propri.

In fondo, anche domenica niente di nuovo sotto il sole non fosse che la rabbia è doppia per via del rivale. Non è la prima volta che il River si fa rimontare e non è la prima volta che gioca solo apparentemente bene (anche se di certo meglio di chi ha davanti). Così come non aveva dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di essere forte contro Arsenal e Godoy Cruz (che con la loro attuale pochezza avevano agevolato goleade illusorie per qualcuno) ieri fino a un certo punto ha beneficiato dei limiti del Boca. Ma, diversamente dalle altre due occasioni citate, a un tratto ha anche subito la caratteristica principale degli Xeneizes da sempre: il non considerarsi mai morti. Risultato: il consistente vantaggio è andato in fumo e lo sconforto è sceso un’altra volta sul Monumental.

Che poi Almeyda dica che lui, a differenza evidentemente di quelli del Boca, non ha mai festeggiato per un pareggio conta davvero poco perché si tratta delle solite, inutili parole che oggi non dovrebbero bastare nemmeno al più irrazionale dei tifosi. Ora come ora e nonostante tutto, però, Almeyda resta dov’è e con lui rimangono le sue dichiarazioni e il suo modo d’intendere il calcio che, rispetto a quel che dice, risulta ancora più inutile e quel che è peggio dannoso.

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